Mamma Fortnite

Una volta si parlava di Lingua madre, e ci si riferiva a quel procedimento di apprendimento del linguaggio per mezzo del processo naturale e spontaneo detto di acquisizione linguistica; il processo veniva avviato in tenerissima età e dalla persona che più era vicina all’infante, ovvero dalla mamma. Ma ora, nella nostra contemporaneità digitale, questo lavoro è sempre più delegato a quelli che vanno sotto il nome di dispositivi antropici.

Sino a qualche tempo fa, infatti, per i genitori che non avevano la volontà o soprattutto la possibilità di badare ai figli, il ruolo di baby sitter era stato affidato alla televisione. L’apparato televisivo forniva programmazioni di contenitori che per la prima volta si rivolgevano esclusivamente a bambini e ragazzi, come il noto Bim Bum Bam, e che iniziano ad essere mandate in onda nel nostro Paese a partire dal 1981, intrattenendo un’intera generazione con decine di cartoni animati e minisceneggiati di provenienza in prevalenza giapponese e statunitense.
Ora, i figli di questa generazione cresciuta a serie animate e minisceneggiati, capaci di mandare a mente, in un ventennio di programmazione, centinaia di battute veloci, situazioni da sit-com e mini-sigle, e sempre più affaccendati dei loro genitori, per necessità o noncuranza mettono i propri figli davanti a smartphone e tablet.

È un avvicinamento che sembra innocuo, ma che si avvia in tenera età e che permane nel tempo. E non è privo di conseguenze. Il fenomeno della dipendenza da videogiochi si diffonde a ritmi impensabili pochi decenni fa, tanto che il “gaming disorder” è ufficialmente una malattia mentale. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’ha inserita nell’ultimo aggiornamento dell’elenco di tutte le patologie, l’International classification of diseases (Icd), che entrerà in vigore per gennaio 2022.
Anche in Italia, dove secondo la ricerca Espad 2018 sono almeno 270 mila  i ragazzi che nei confronti di internet hanno un comportamento “a rischio dipendenza”; sempre secondo la ricerca Espad 2018, nella fascia tra i 15 e 19 anni il 35 per cento degli studenti italiani si collega a internet almeno una volta al giorno per fare giochi di ruolo o di avventura, e il 15 per cento per giochi di abilità.

Negli studi dei medici accrescono i casi di familiari che si rivolgono alla consulenza specialistica perché non riescono più a gestire il comportamento dei propri figli. Si regala una consolle ai bimbi verso i cinque anni e si nota subito un attaccamento da parte del bimbo e una fatica a staccarsi dai giochi, che li interessano moltissimo divenendo oggetto della maggior parte dei loro discorsi con i compagni e con i genitori. Poi, con l’acquisto del cellulare personale, il gioco diventa una vera e propria ossessione. I ragazzini arrivando a giocare quattro, ma anche otto ore consecutive, il rendimento scolastico cala e soprattutto presentano forti sbalzi d’umore, uniti ad aggressività e intollerante alle regole. Quando i genitori provano a togliere il cellulare i ragazzi reagiscono in maniera violenta.

A parere dell’Oms, la dipendenza da gioco digitale prevede « un modello di comportamento di gioco persistente o ricorrente, che può essere online su Internet o offline e che prende il sopravvento sugli altri interessi della vita ». Per poter parlare di malattia mentale, però, devono essere presenti alcune condizioni specifiche: perdita di controllo sul gioco; la crescente priorità che viene data a questa attività a discapito di altre attività quotidiane; il continuare a giocare con le stesse modalità nonostante il verificarsi di conseguenze negative per la salute. La diagnosi può essere fatta solo se questo schema di comportamento dura per almeno un anno o se tutti i requisiti sono rispettati e i sintomi sono molto gravi.

Per cercare di fare luce sul fenomeno, bisogna seguire un poco l’evoluzione di questi giochi digitali nel tempo. Il bisogno ludico, è infatti uno dei più antiche e sentite caratteristiche del genere umano. L’attività ludica è di fondamentale importanza poiché stimola la formazione della personalità, essa consente alla mente di imparare e perfezionare abilità mentali quali l’immaginazione, la percezione sensoriale, la capacità di distinguere realtà e finzione, nonché la capacità di assumere ruoli e di confrontarsi e comunicare.

A differenza delle generazioni precedenti, la fidelizzazione ai videogiochi ora avviene da giovanissimi e le società produttrici, che gestiscono ciascuna giri di affari per diverse decine di miliardi di euro, hanno messo in campo tutta una serie di espedienti di marketing per sollecitare e promuovere i processi di fidelizzazione e di acquisto. Da Fortnite a Brawl Stars il gioco diventa collettivo, on line, con la possibilità di acquisti per potenziarsi e fare di meglio, estremamente divertenti e violenti; tutti ingredienti per rendere la merce desiderabile e pericolosa come una sostanza stupefacente.

E’ di questo avviso uno studio legale canadese ha pensato di presentare una class-action contro Epic Games, ovvero la casa produttrice di Fortnite. Il motivo è di aver creato un videogioco che porta a una dipendenza esagerata, tramite il rilascio consapevole e calcolato di dopamina, un ormone che provoca senso di felicità e soddisfazione, ma che è anche alla base del funzionamento di molte droghe e che avrebbe distrutto giovani vite e unioni matrimoniali.
Un altro fenomeno in crescita è la presenza di vere e proprie star del videogioco, giocatori che fanno di questo intrattenimento un lavoro vero e proprio, partecipando a tornei con incredibili somme in vincita o che entrano ad esempio nelle squadre di calcio di giochi on line, vestendo la maglia delle squadre reali e ottenendo stipendi e benefit.

Poiché una delle caratteristiche dell’attività ludica è quella di attivare le stesse parti del cervello nel momento in cui si fa un’azione o nel momento in cui si vede compiere l’azione, i compensi e le platee degli spettatori di questi super gamer sono in costante crescita.
Dunque, una volta si parlava di Lingua madre ma siamo ora di fronte ad una evoluzione dei rapporti e dei processi di educazione acquisiti dalle figure di riferimento. Le esperienze fornite dall’ambiente digitale educano i giovani. Abbiamo osservato il fenomeno di apprendimento naturale attraverso la figura della madre, dobbiamo ora chiederci che fisionomia avrà il processo di apprendimento che vede in maniera sempre più preminente come figura madre gli algoritmi digitali forniti dalle società dell’intrattenimento.

Dott.ssa Roberta Costantini – PSICOLOGA